“Felice in India”: non si vede bene che col cuore

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felice1Di Elena Atalmi

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Inizia così, con una serie di suoni incomprensibili. Un arabo parla concitato al telefono, urla, regalandoci un’intensa performance e forse un corso accelerato di dialetto subsahariano, d’uso quotidiano. Peccato che sono troppo ignorante per apprezzare. Dopo un po’ mi ronza la testa come fossi al mercato e un venditore esagitato di cocomeri mi stesse strillando addosso. Primo ricordo della giornata. Faccio ancora qualche sbadiglio, e prego che gli manchi il fiato, ma quello continua a latrare. Il Palacongressi è caldo e scuro, venti ormonali e goccioline di sudore sembrano aver climatizzato la zona, che rientra oramai nella fascia tropicale.

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A proposito di viaggi esotici, sono capitata bene: la mattina del 20 giugno si apre con un film che profuma di curry e cardamomo, “Felice in India”, per la CBM Italia Onlus. Il documentario che sensibilizza sui disagi della disabilità, protagonisti bambini sordi, muti e sordomuti, è un incentivo alla ricerca di soluzioni alternative per permettere al malato di esprimersi: l’arte è certamene fra le più quotate. Dalla doppia anima, d’una potenza distruttrice e ricostituente, l’arte s’insinua nel cuore dei piccoli come un fiume, lento, che scava, poi s’ingrossa e rompe gli argini. Così il corpo, seppur prostrato da qual si voglia limitazione, può aggrapparsi all’albero della vita con le due mani e morderne i frutti, se rafforzato da una carica intimista e insieme espansiva come quella artistica. Il regista Silvio Soldini, assieme al collega Giorgio Garini, afferma sul fare documentario: “Niente è messo in scena, tutto avviene, e se sei distratto te lo perdi”.

Interessato alla resa cinematografica dello sguardo, motivo per cui “entrava in punta di piedi nelle stanze”, ora si trova a dover lavorare senza. L’uomo che segue nel viaggio verso il Tropico del Cancro è infatti uno scultore cieco, Felice Tagliaferri (di nome e di fatto!): sorriso aperto e grandi speranze. I bambini che andrà ad incontrare, figli di slum e miseria, piccoli Mowgli nella giungla smeraldo, bordata d’oro da un sole che si liquefa, non usano gli occhi, lo sguardo perso è imbambolato nel vuoto dell’assenza di luce. Ecco allora che brivido ed emozione li si ritrova in un tremolio altro da quello della pupilla: nelle mani, che raccolgono quello che l’occhio generalmente sorvola, superficiale. Quelle dei bambini strofinano, plasmano l’argilla nei laboratori di Felice, e costruiscono un albero, che non si può vedere ma toccare, che blocco dopo blocco s’assembla e svetta, dove l’aria è pulita, verso l’alto. Diceva una volpe a un certo piccolo principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore”.

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